LA SICUREZZA DEI LAVORATORI ITALIANI DISTACCATI IN PAESI UE ED EXTRA UE.

E' responsabile il datore di lavoro che non adempie ad adeguate misure di sicurezza nel caso in cui i propri dipendenti svolgano attività lavorativa in Paesi extra UE che non prevedono una soglia minima di rispetto per le norme sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Le misure idonee devono essere in grado di raggiungere il livello di sicurezza previsto dalla legislazione nazionale ed in particolare quella del Testo Unico 81/2008; misure che, in virtù di quanto recentemente previsto dal D. Lgs 151/2015, il datore sarà peraltro tenuto a specificare nel contratto (o, comunque, in un accordo integrativo) con i lavoratori italiani da impiegare o trasferire all’estero.

L’obbligazione di sicurezza cui è chiamato il datore non è infatti limitata né temperata dal fatto che la prestazione lavorativa si svolga fuori dal territorio italiano; essa scaturisce dalla costituzione del rapporto di lavoro e trova giustificazione negli artt. 32 e 41 della Costituzione, che pongono limiti alla esplicazione della libertà di iniziativa economica privata in virtù della prevalenza su questa degli interessi sulla sicurezza, libertà e dignità umana.

Su un piano più generale interviene poi l’art. 2087 del Codice Civile, obbligando il datore ad adottare idonee misure tese ad assicurare tutela al lavoratore, tenendo conto del noto principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile”, pacificamente ritenuto applicabile dalla giurisprudenza in materia di salute e sicurezza alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Come ribadito, solo tra le ultime sentenze, da Cass. pen., sez. IV, 5 Febbraio 2014, n. 2626, “seppure è vero che l'art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in materia anti infortunistica, ma anche all'adozione di tutte le altre misure che risultino, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non di colpa di quest'ultimo. In sostanza le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (…)”.

Possiamo trovarci in tre diverse situazioni in base allo Stato in cui si presta il lavoro:

PAESI DELL’UNIONE EUROPEA

PAESI EXTRACOMUNITARI CONVENZIONATI

PAESI EXTRACOMUNITARI NON CONVENZIONATI

Ai lavoratori distaccati in ambito comunitario si applicano le disposizioni di cui alla direttiva n. 97/71/CE, la quale prevede che la normativa adottabile sia quella del Paese ospitante. In caso di invio di un lavoratore presso un Paese UE è possibile per il datore di lavoro fare affidamento su un “substrato” comune di regole che permette una sorta di reciprocità tra i regimi giuridici applicabili. Ad esempio, le parti possono concordare che si applichi interamente la normativa del Paese ospitante e il datore di lavoro che invia il lavoratore può essere relativamente tranquillo rispetto alla coerenza tra i sistemi giuridici (es.: la valutazione dei rischi ha sostanzialmente gli stessi contenuti nell’area dei Paesi UE). Ne deriva che qualunque sia lo Stato dell'Unione europea in cui venga svolta la prestazione, purché questo abbia recepito le direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro, applicando la normativa locale vengono sicuramente garantite misure di prevenzione con i livelli i essenziali di tutela equivalenti a quelli italiani.

Nel caso di invio di un lavoratore in un Paese non europeo non è, invece, possibile fare affidamento su un sistema uniforme tra il Paese di provenienza ed il Paese UE. Il datore di lavoro deve, in questo secondo caso, quindi valutare quanto le regole del Paese in cui si invia il lavoratore siano adeguatamente “sicure” per il lavoratore. Ciò perché, si ripete, anche nei Paesi extracomunitari il datore di lavoro dovrà garantire livelli di  tutela equivalenti a quelli previsti dalle norme di prevenzione del nostro Paese. Di conseguenza, nei cosiddetti “Paesi a rischio”, individuabili anche in base alle informazioni reperibili sul sito del Ministero competente (Affari esteri, c.d. “Farnesina”), dovrà essere data particolare valenza alla valutazione dei possibili “rischi generici aggravati”. Ad esempio, in materia di requisiti di sicurezza di apparecchiature e macchine, si evidenzia che gli standard vigenti in Europa, emanati dagli organi di normazione europei CEN, CENELEC, ETSI, sono equivalenti a quelli internazionali emanati dagli organismi di normazione internazionale ISO, IEC, ITU, o a quelli recepite dagli organismi nazionali di normazione dei Paesi extraeuropei.

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fonte: Il Sole24Ore - Punto Sicuro

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